martedì 3 marzo 2009

I VALORI NEGOZIABILI DI AN

Dal dibattito che si è sviluppato in questi giorni all’interno di AN è emerso, tra l’altro, che questo partito sta entrando nel Popolo delle Libertà con alcuni suoi valori “non negoziabili”. Ora non intendo minimamente polemizzare con nessuno, ma mi piacerebbe sapere di che valori di parli e soprattutto cosa si intende per valori “non negoziabili”. Ora capisco che l’espressione è suggestiva ed evoca atmosfere reaganiane e ratzingheriane, da duri e puri, ma prima di usarle si dovrebbe fare l’inventario di quanto è rimasto dopo le svendite promozionali di questi ultimi anni.

Leggo di politiche e idee di sicurezza, di identità nazionale, di Patria, di valore delle persone, di centralità della famiglia, di sussidiarietà,di economia sociale di mercato; e mi dico: no, non possono essere questi i valori “non negoziabili”. Sono gadget politici quotidiani e diffusi su ogni bancarella della politica. Se fosse per questi si potrebbe votare benissimo il PD o l’UDC di Casini. Intendiamoci, chi ricopre cariche politiche o spera di arrivarci ha ragione di fare propaganda. Un politico fa bene ad osservare percorsi tattici per arrivi strategici; ma le migliaia di osservatori e commentatori politici e i milioni di elettori di destra evidentemente vivono una condizione ideologica di disagio e hanno esigenze di fisiologia politica diverse. Ciò che non può essere negoziato in natura come in politica sono il padre e la madre, ossia le radici. E? di li che bisogna partire; il resto cambia con le stagioni. In AN dove l’evoluzionismo si è coniugato col relativismo della convenienza sull’unghia, a partire dal 1994, passaggio dopo passaggio, è stato, man che negoziato, addirittura negato e rinnegato tutto. Dall’ideologia alla fisiologia: ciò che non può essere negoziato sono i bisogni.

Come meridionale e come cittadino io non posso negoziare il mio diritto di vivere come i cittadini del resto d’Italia e il mio diritto di partecipare concretamente alla vita politica del Paese.

Non mi pare che questi “diritti-bisogni” siano contemplati nel partito del “predellino” nobilitato come “Popolo delle Libertà”, cui An va trionfalmente a confluire. Federalismo fiscale e nominalismo elettorale sono “vulnera” gravissimi per ogni cittadino del Sud specialmente.

Dal pantheon della destra italiana, per tornare ad An, non è scomparso soltanto Mussolini, ma anche Almirante; e se quest’ultimo si dedicherà un filmato nel congresso di dissoluzione del 27 Marzo, lo si farà per un ultimo raggiro politico nei confronti di quel numero ancora consistente di ex missini che in Almirante hanno avuto per anni il loro Nelson Mandela, ossia la guida dalla quale sono stati condotti fuori dalla segregazione politica, altrimenti detta con l’espressione commerciale “sdoganamento”. Almirante fra qualche anno sarà il razzista di Salò, il “fucilatore degli italiani”. Qui non si discute la necessità del movimento, del seguire insieme i mutamenti epocali, che obbligano ad adeguarsi; ma di doverlo fare senza mai mettere in discussione le proprie radici, anche quando esse hanno fatto crescere piante e rami non proprio belli e buoni, e senza barattare i propri bisogni. Molti punti forza del Fascismo e perfino dell’MSI oggi non sono più condivisibili, fra questi il razzismo, il nazionalismo, il corporativismo, l’estremismo, l’omofobia e la xenofobia; con cui bisogna confrontarsi in termini problematici, senza sommarie e superficiali rimozioni.

Ma il primato dello Stato, che nell’attuale crisi è tornato imperioso, la priorità del socialismi sull’individualismo più esasperato, il compito etico dello Stato, il controllo sui servizi primari, fra cui la sicurezza, l’ordine, la salute, l’efficienza delle strutture pubbliche, la difesa delle identità nazionale nel rispetto delle altre, la garanzia di difesa della fasce più deboli, per un uomo di destra, proveniente dal Fascismo- msi, costituiscono imprescindibile impianto di qualsiasi attività di governo. Assistiamo, invece, ad un Popolo della Libertà sempre più su posizioni ecclesiastiche, commercialistiche, antistataliste. Più che un partito è una fazione. Perfino il nome evoca situazioni comunali da Medioevo in cui da una parte ci sono i magnati(la corporazione dei politici) e dall’altra i ciompi(i cittadini esclusi).

Quanto agli uomini di An ormai “in liquidazione”- e parlo dei più rappresentativi- da anni non fanno che gli Yes-man di Berlusconi e in sott’ordine di Fini, perché politicamente dipendono da loro e non dall’elettorato. Essi sono passati dalle vertigini del “balcone”

all’autostop del predellino. E non si finga di non capire!

Gigi Montonato

6 commenti:

Anonimo ha detto...

IL MANIFESTO DEL PDL
by Cicchitto

E' augurabile che il dibattito sulla formazione del partito del Popolo della libertà abbia un salto di qualità. Infatti il Pdl deve fondarsi su una forte leadership, sull'elaborazione politico-culturale e programmatica, sul dibattito politico, sul lavoro organizzativo per il suo radicamento sul territorio in concorrenza con alleati (Lega) e in contrapposizione agli avversari. In questo quadro il dibattito sulla "cultura" del nuovo partito ha una grande importanza.

Sul Giornale si è sviluppato un dibattito sulla "cultura di destra", ma questa definizione attiene legittimamente al travaglio di chi a suo tempo ha militato nell'Msi e alla sua originaria propensione ideologica, politica, psicologica per la "nostalgia", poi traumaticamente superata da Fiuggi fino ad approdare all'antifascismo liberaldemocratico e a profondi rapporti con Israele: una revisione profonda e apprezzabile.

Il revisionismo di Fini rispetto all'Msi ha creato una delle condizioni fondamentali per il processo di formazione del Pdl. » evidente che il percorso politico-culturale che ha riguardato Forza Italia Ë stato tutt'altra cosa, e non poteva essere diversamente visto che riguarda l'area di centro, anzi, per certi versi di "centrosinistra". Di conseguenza la vicenda politico-culturale di Forza Italia non può essere limitata a una dimensione o puramente leaderistica (Berlusconi) o puramente manageriale per ciò che riguarda i suoi dirigenti, anche se ciò è vero per le sue origini.

Certamente per FI - e oggi per il Pdl - e per il centrodestra la leadership di Berlusconi Ë fondamentale. Un leader carismatico che parla direttamente a milioni di persone e che, allo stato, Ë l'unica personalità in grado di aggregare tutto uno schieramento politico e sociale. Guai se non fosse sceso in campo quando si trattava di affrontare nel '93-'94 l'operazione "rivoluzionaria" messa in atto da alcune procure, sostenute dai principali quotidiani, dal gruppo finanziario-editoriale Repubblica-Espresso (De Benedetti, Caracciolo), dal Pci-Pds. Nella prima fase non c'è dubbio che la dimensione di Forza Italia è stata leaderistica (Berlusconi), e manageriale (i manager di Publitalia organizzati da Marcello Dell'Utri). Fin dall'inizio, però, l'operazione di Berlusconi aveva per obiettivo quello di riconquistare e di riaggregare larga parte dell'area di centro, anzi di centrosinistra riferita sia a una parte del mondo cattolico e democristiano, sia al socialismo riformista che dopo la distruzione del Psi ha scelto di collocarsi nel centrodestra in aperta contrapposizione al Pds-Ds.
FI gradualmente si è allargata a qualcosa di altro, a un intreccio di culture provenienti dalla precedente storia politico-culturale dell'area del centrosinistra classico contrapposta sia al Pci sia alla sinistra cattolica e democristiana di derivazione dossettiana. Ciò che era stato distrutto come sistema di partiti da Mani pulite non è stato azzerato dal punto di vista delle culture storico-politiche. Così intorno a FI sono via via cresciute alcune significative esperienze culturali quali quelle cattoliche (da quella ciellina a quelle di derivazione democristiana), quelle liberali, (dal liberismo assoluto di Martino e a quello più articolato di Urbani), quelle del socialismo riformista e del liberalsocialismo. Questi spezzoni di storia politico-culturale non si sono tradotti all'interno di FI in altrettanti correnti di partito, ma intorno a essi si è sviluppato un lavoro culturale e programmatico con forti ricadute esterne.
FI, dopo la iniziale fase manageriale, è stata strutturata come partito politico organizzato sul territorio da Claudio Scajola. Successivamente Bondi e il sottoscritto, diversamente da molte malevoli aspettative, non hanno smontato la costruzione di Scajola, ma hanno lavorato per intrecciarla con una dimensione politico-culturale (Gubbio e altre iniziative dello stesso tipo) in modo da far sì che la leadership carismatica di Berlusconi fosse sostenuta da una struttura organizzata e da una dimensione politico-culturale. Qual è stato il contenuto di questo lavoro? In primis quello di aver ridato fiato e voce al garantismo e all'anticomunismo di ispirazione cattolica, liberalsocialista e liberale che era stato messo a tacere ai tempi dell'unità nazionale e che veniva considerato superato dopo il 1989. Bastino due nomi: Lucio Colletti e Gianni Baget-Bozzo.
E' stata elaborata una rilettura revisionista della storia d'Italia rivalutando il ruolo dei leader dei partiti liberaldemocratici e anticomunisti - da De Gasperi a Einaudi, a Saragat fino a Craxi - contrapponendola a quella elaborata dalla storiografia espressa dalla sinistra comunista e post-comunista. Sul terreno economico-sociale nell'area di centrodestra sono emersi almeno due filoni, fra loro in perenne dialettica: quello liberista-tatcheriano, e quello fondato sull'economia sociale di mercato che punta sul progetto di un mercato governato da regole, non dominato dall'anarchia finanziaria e capace di organizzare solidarietà sociale.
Un confronto c'è stato anche sulla caratterizzazione di fondo dell'Europa: siamo tutti d'accordo che una dimensione di essa è costituita dalle radici giudaico-cristiane, ma nessuno può negare che l'Europa contemporanea è stata anche arricchita dall'intreccio fra le radici giudaico-cristiane e la sopravvenuta cultura illuminista il cui filone girondino-moderato è fra i fondatori del liberalismo e non può certo essere considerato come secondario e marginale rispetto all'essenza dell'Europa attuale, e alla sua identità. Più in generale l'elaborazione culturale del centrodestra nel corso di questi anni ha fissato una serie di "paletti": l'organica negatività del comunismo e il ruolo fondamentale esercitato dalla libertà in tutte le direzioni, da quella economica a quella statuale (il garantismo), la crisi del dirigismo, il superamento di ogni impostazione classista nei rapporti di lavoro e, invece, l'importanza delle tendenze alla collaborazione e alla cogestione, il superamento della fase sessantottina in nome di un recupero della moderazione, del riformismo, dell'efficienza, di una concorrenza e di un mercato "regolati". Invece il centrodestra non ha sfondato sul terreno dell'organizzazione della cultura che Ë tuttora, per larga parte, controllata dal sistema di potere della sinistra. E' evidente che sia il lavoro politico-culturale in atto nell'area di An sia quello nell'area di FI devono essere travasati nel nuovo partito e in quella sede confrontarsi e intrecciarsi superando le paratie stagne tuttora esistenti.
Oggi la politica è dominata da pochi grandi leader e dalla comunicazione televisiva. L'elaborazione politica-culturale rischia di essere considerata marginale.

Tuttavia un partito che non ha un retroterra culturale e che ha dei filoni culturali incomunicabili e troppo divaricati rischia di morire per asfissia o implodere per differenziazioni troppo marcate e irrisolte: l'esempio del Partito democratico è un monito per tutti. La conquista dell'egemonia - che nel mondo attuale è costituita da una combinazione fra la comunicazione, il messaggio fondamentale inviato ai cittadini, e l'elaborazione culturale - rimane un decisivo terreno di confronto nella lotta politica.

Anonimo ha detto...

La destra ha una guida straordinaria. Si chiama Adriana Poli Bortone e noi siamo con lei.

W le donne

P.M.

Anonimo ha detto...

A Proposito di cultura della destra...

"MELEDETTO XVI"
di MARCELLO VENEZIANI

Voi non sapete, barbari studenti e più barbari docenti, chi state cacciando dall'Uni versità La Sapienza di Roma insieme al Papa Benedetto XVI. Voi non state semplicemente e autorevolmente cacciando solo il capo della cristianità occidentale, voi state cacciando i tre quarti o forse più della cultura occidentale, filosofia e anche scienza, letteratura e arte, assistenza e medicina, carità e opere pie. Voi state cacciando gli amanuensi che salvarono la cultura classica dai vostri predecessori barbari e dall'incuria dei vostri predecessori ignoranti. Voi state cacciando la Patristica e la Tomistica, S. Agostino e S. Tommaso, Alberto Magno, San Bonaventura da Bagnoregio e Sant'Anselmo d'Aosta, Vico e Rosmini, Pascal, Manzoni e Dostoevskij, quasi tutta la filosofia e la letteratura che ne discese. Perché un Papa, se lo contestate come il massimo esponente della Chiesa cattolica sappiate che è il massimo erede di quella tradizione cristiana sulle cui spalle sono appollaiati senza saperlo i vostri prof.
Voi non sapete, barbari studenti e più barbari docenti, chi state cacciando dall'Uni versità La Sapienza di Roma insieme al Papa Benedetto XVI. Voi non state semplicemente e autorevolmente cacciando solo il capo della cristianità occidentale, voi state cacciando i tre quarti o forse più della cultura occidentale, filosofia e anche scienza, letteratura e arte, assistenza e medicina, carità e opere pie. Voi state cacciando gli amanuensi che salvarono la cultura classica dai vostri predecessori barbari e dall'incuria dei vostri predecessori ignoranti. Voi state cacciando la Patristica e la Tomistica, S. Agostino e S. Tommaso, Alberto Magno, San Bonaventura da Bagnoregio e Sant'Anselmo d'Aosta, Vico e Rosmini, Pascal, Manzoni e Dostoevskij, quasi tutta la filosofia e la letteratura che ne discese. Perché un Papa, se lo contestate come il massimo esponente della Chiesa cattolica sappiate che è il massimo erede di quella tradizione cristiana sulle cui spalle sono appollaiati senza saperlo i vostri prof. Se invece lo contestate in quanto Joseph Ratzinger, beh, leggete prima i suoi testi, di cui non capirete molto, e sicuramente discorderete da quasi tutto; ma vivaddio, si tratta di un raffinato esponente di cultura che non entra nell'ateneo con l'area del pretonzolo che vuol sostituire il credere al pensare, le bigotte ai filosofi e chierichetti agli studenti. Ratzinger è un intellettuale a tutti gli effetti, che in ateneo è forse a suo agio più che in una sacrestia, semmai il suo limite come papa può essere proprio quello... Non si tratta semplicemente di garantire a tutti il diritto di parola, come dice Battista sul Corriere, rispolverando l'ovvietà di difendere Ratzinger con Voltaire; certo, sarebbe già tanto se almeno questa considerazione degna di zia Lina fosse accolta, ma in questo caso c'è molto di più, e non dal punto di vista confessionale: si tratta di un vero professore e di un testimone di una cultura che puoi contestare fino alle radici ma che costituisce il terreno su cui noi stessi pensiamo e viviamo, anticlericali inclusi. Dire che il papa ha diritto di parlare all'università come l'ateo Odifreddi è una benevola sciocchezza, perché non si possono mettere sullo stesso piano il diritto di ciascun cittadino e di qualunque uomo di cultura di parlare all'università con l'ulteriore motivo di ospitare il massimo rappresentante della tradizione che più ci ha plasmato, nel bene e nel male. Facoltà di Spocchia
Il fatto che Asor Rosa inviti il Papa a non entrare nell'Uni versità perché il suo pensiero sarebbe connotato da posizioni conservatrici e reazionarie, è un esempio demente di cultura dell'assurdo, di spocchia accademica unita a intolleranza ideologica. Allora, se la Chiesa deve essere messa fuori università perché portatrice di una cultura del genere, quanta cultura dei millenni andati dovrebbe uscire dall'università per la medesima ragione? Forse, a quel punto, sarebbe meglio far uscire l'università dalla storia della cultura occidentale e non solo (te li scherzi gli orientali, gli islamici ecc). Se si dovesse giudicare un magistero dagli effetti storici della tradizione che rappresenta, dove dovrebbe essere cacciato Asor Rosa, esemplare non pentito della tradizione più breve ma più rovinosa del mondo, il comunismo? In quale cesso dovrebbe essere chiuso lui con i suoi libri? E invece a me piace leggere Marx e perfino Asor Rosa, e mi piace che sia all'università non solo per via del pensierino voltairiano ma perché la libertà si nutre dell'intelligen za e del contrasto, la storia del pensiero è fatta di antitesi marcate, e anche grandi errori possono portare nel loro seno riflessioni proficue, anche le sragioni possono contenere germi di ragione, nobiltà e altra verità. E poi, chi decreta l'autorizzazione a procedere in questi casi, chi concede o rinnega l'invito, di quale investitura divina o di quale autorità suprema dispone Asor Rosa per decidere lui, alla biglietteria del cinema La Sapienza, chi sono gli ammessi e chi sono i bocciati in saecula saeculorum? Ma non vi rendete conto, professorini che un tempo civettaste pure con il partito armato, di quanto diventa ridicola la presunzione di giudicare dalla vostra nanocultura, cattedrali di pensieri e millenni di storia e di filosofia, di scienza e di arte, di vita e di cultura? I legittimi allievi di questi professorini faziosi hanno promesso di sommergere giovedì il papa di musica dance e di cortei con studenti travestiti da suore, come un gay pride degli analfabeti; siete pari ai coatti della curva sud e ai burini del degrado urbano. Siete barbari come loro, rozzi e arroganti nella vostra ignoranza...Disertate l'università, fatevi le canne e sparatevi di alcol. Due motivi di consolazione

Però ho due motivi di consolazione: il primo è che l'ini ziativa mette in imbarazzo la sinistreria furbetta che voleva cogliere l'occasione per celebrare una messa cantata del Papa con Mussi e Veltroni e per dare loro occasione per un altro show politico con alta copertura mediatica. Il secondo motivo di consolazione è di ordine personale: nel mio piccolo anche a me fu impedito una volta, anzi più di una volta, di parlare all'università, anche alla Sapienza e fu impedito una volta di parlare di un altro filosofo che giganteggia nel Novecento europeo e che all'università italiana come alla scuola dette molto, Giovanni Gentile. Mi consola sapere che sono stato, nel mio piccolo, un precursore, a Roma come a Torino, a Pisa come a Firenze e Genova, di conferenze universitarie contestate se non vietate. Se fossi il Papa, comunque, accoglierei l'invito di Asor Rosa e non ci andrei all'Università se l'invito non risulta firmato dal corpo docente. Sai che bella lista di infami ne verrebbe fuori?

Anonimo ha detto...

Questa cosa bisognava farla prima. A me forza italia non piace e non mi piacciono quei tipetti tutti incravattati che si strappano i capelli alle messe cantate azzurre. Sono daccordo con la Poli Bortone, lottare per il Sud, la nostra terra e per i nostri valori.
E' vergognoso che abbiano rinnegato Almirante.
Io non voterò PDL.

Anonimo ha detto...

Tony tu cosa farai, rappresentarai il movimento del sud a sannicola?
Ti canditi alla provincia?
Se si candita Piccione fossi in te andrei allo scontro frontale una volta per tutte.
Sappi che io ti sosterrò e per come si sono messe le cose posso dirti che molti voteranno per te, chi meno te lo aspetti, anche quelli che magari non ti hanno votato l'altra volta per ragioni nuove. Quanto ti incontrerò di persona ti farò un ragionamento e spero che ti fiderai.

M.L.

Anonimo ha detto...

Il Messaggero di ROMA (5 marzo)

A dicembre dello scorso anno Silvio Berlusconi non si era sbagliato nell'inserire la costruzione del Pdl tra i punti più impegnativi e gravosi del nuovo anno. A pochi giorni dal congresso costituente del nuovo soggetto politico molti nodi restano ancora irrisolti e, come sostenuto ieri più o meno ironicamente dal ministro La Russa, «a differenza del Pd, noi litighiamo prima e non dopo».

Lo statuto, che avrebbe dovuto vedere la luce a metà febbraio, ancora non c'è e nelle stanze di palazzo Grazioli e sui giornali si continua a
discutere, del numero dei coordinatori nazionali, dei coordinatori regionali e del ruolo che dovrà avere Gianfranco Fini nel Pdl. La componente di Alleanza nazionale non molla e pretende regole chiare e certe per la selezione della classe dirigente nel timore che il 27 del mese si celebri più una confluenza in Forza Italia che il momento di costituzione di un nuovo partito. Da più parti si contesta però anche l'idea che si possa congelare il partito sino al 2013 lasciando invariato sia a Roma che sul territorio il rapporto 70 a 30 con il quale si sono fissate quote e candidature, mentre la richiesta rivolta al Cavaliere di sottoporsi alla legittimazione del Congresso attraverso una votazione, seppur per alzata di mano, viene vista dai più stretti collaboratori del premier come un atto che non riconosce i meriti del fondatore che non va votato ma ringraziato per l'intuizione.

Il punto di frizione sembra essere proprio questo, visto che anche Fini si ritiene co-fondatore del Pdl, come peraltro risulta da apposito atto notarile. La questione potrebbe apparire di "lana caprina", ma in realtà segnale l'esigenza dell'attuale presidente della Camera di non finire un domani nel calderone dei possibili eredi. Ovvero di coloro che, con più o meno diritti, rivendicano di rappresentare la continuità rispetto al signore di Arcore. La scommessa di un Pdl "deberlusconizzato" non sarà facile da vincere e il continuo braccio di ferro sull'assetto del triumvirato, contribuisce al nevosismo del premier già alle stelle per i litigi tra alleati nella scelta dei candidati per le amministrative.